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Origine geologica dei giacimenti di alabastro e di salgemma

Geological origin of alabaster and rock salt deposits

Come si è formato in natura l’alabastro? Perché i giacimenti di questo minerale si trovano in certe zone del volterrano ed in corrispondenza della dorsale collinare prospiciente il litorale (in particolare, a Castellina Marittima) e non in altre zone a queste adiacenti (come, per esempio, nei monti livornesi e nelle colline pisane)?

Fornire una risposta a questi quesiti non serve solo a soddisfare una legittima curiosità del lettore, ma anche a spiegare la distribuzione spaziale degli insediamenti produttivi appartenenti al settore dell’alabastro ed il loro sviluppo, dal momento che ogni giacimento esercita un fondamentale quanto ovvio ruolo nella localizzazione dell’industria alla quale fornisce la materia prima da trasformare.

L’alabastro rappresenta una varietà microcristallina (o, più propriamente, «cripto-cristallina ») del gesso, dal quale deriva attraverso un complicato processo di alterazione strutturale, del quale peraltro è tuttora incerto l’iter fenomenologico. Per descrivere l’origine dell’alabastro è necessario considerare anzitutto quella del gesso che è, nella sua composizione chimica, un solfato idrato di calcio (CaSO4 + 2H2O).

How was alabaster first formed in nature? Why do deposits of the mineral occur in certain areas of the Volterra neighbourhood and along the crest of the hills facing the shore (especially at Castellina Marittima), yet not in other areas right next door to them (for instance, the hills of Livorno or the mountains around Pisa)?

Alabaster is a microcrystalline variety of chalk, from which it is derived via a complex process of structural alteration whose phenomenological development is still not fully known today. To describe the origin of alabaster we first of all have to consider the origin of chalk, a calcium sulphate hydrate whose chemical formula is CaSO4 + 2H2O.

Dal punto di vista mineralogico, il gesso è una roccia evaporitica: esso fa parte cioè delle «rocce che si formano per precipitazione dell’acqua di mare quando, in bacini almeno parzialmente chiusi, la salinità si concentra per evaporazione» (Trevisan).

I sali minerali manifestano una differente velocità di precipitazione che non dipende dalla quantità presente in soluzione, bensì dal loro grado di solubilità. I meno solubili, anche se presenti in debole concentrazione, precipitano per primi.

Ha così luogo, per effetto dell’evaporazione dell’acqua marina in bacini almeno parzialmente chiusi e con il concorso di particolari condizioni ambientali, una sequenza che caratterizza il processo di sedimentazione dei sali, disposta nel seguente ordine:

From a mineralogical standpoint chalk is an evaporite rock, in other words it is one of those “rocks that form through the precipitation of seawater when salinity is concentrated through evaporation in at least partially enclosed basins.”

The climate conditions required for the formation of chalk deposits – i.e. the conditions needed to keep seawater at a relatively stable and relatively warm temperature – were precisely the kind of conditions found in the region that is now Italy, and Tuscany in particular, during the Late Miocene (roughly 7 to 8 million years ago); in other words, tropical conditions with high temperatures and low rainfall.

  1. Precipitano per primi: la calcite (carbonato di calcio) e la dolomite (carbonato di calcio e magnesio), che sono i meno solubili;
  2. poi precipitano il gesso e l’anidrite;
  3. quindi il salgemma;
  4. ed infine gli altri sali, fra cui quelli di potassio, quando sono però presenti in elevate quantità ed a condizione che il processo di evaporazione dell’acqua marina prosegua ininterrottamente fino a pieno compimento.

In natura, si possono però manifestare fenomeni di interruzione del processo di evaporazione dell’acqua marina o di alterazione del suo corso normale, che possono essere ascritti a varie circostanze. Le interruzioni possono esser dovute a nuovi apporti di acqua marina, a immissioni di acqua fluviale dalla terraferma, o a mutazioni del regime climatico.

Il processo di evaporazione può presentare un andamento irregolare a seguito dell’alternanza delle condizioni atmosferiche e climatiche che caratterizzano i cicli stagionali nel loro avvicendamento. Si registra allora un andamento ciclico annuale di carattere stagionale che spiega il frequente rinvenimento di strati sottili di gesso (detti «ritmi») intercalati da sedimenti plastici di natura argillosasabbiosa (che, quando corrispondono a fenomeni collegati a cicli annuali, vengono chiamati «varve»).

Altre volte, per contro, si incontrano grossi banchi di gesso (o «megaritmi») spessi anche tre metri ed oltre, che sono il prodotto di processi molto prolungati di evaporazione e che si alternano a grossi banchi di materiali sedimentari detritici, costituiti da elementi plastici alternati a parti argillose e sabbiose.

Si deve tuttavia tener presente che, affinché questi processi di evaporazione e di conseguente precipitazione dei sali minerali potessero compiersi in natura, era indispensabile il concorso di adatte condizioni climatiche, caratterizzate da livelli termici relativamente assai elevati e da persistenti regimi secchi: ciò perché la precipitazione dei minerali è direttamente influenzata dalla temperatura oltre che dalla concentrazione dei sali in soluzione.

Ebbene, le condizioni climatiche richieste per la formazione dei depositi gessiferi – tali cioè da consentire il mantenimento della temperatura dell’acqua marina a quote relativamente stabili ed elevate – erano proprio quelle che si erano manifestate nelle regioni corrispondenti attualmente all’Italia, ed in particolare alla Toscana, durante il Miocene superiore (circa 7-8 milioni di anni fa): condizioni di tipo tropicale, caratterizzate appunto da elevate temperature e da un debole regime di precipitazioni.

Se però il processo di evaporazione e di conseguente sedimentazione fin qui descritto fosse giunto a pieno compimento – e cioè con la totale evaporazione dell’acqua marina presente nei bacini chiusi o semi-chiusi – i depositi di gesso si sarebbero accumulati in superficie o a breve profondità e il processo si sarebbe definitivamente arrestato.
La continuazione del processo e quindi il susseguirsi, in profondità, di successivi strati di gessi intercalati a banchi di sedimenti clastici (sabbia ed argilla), si spiega solo con un altro fenomeno: quello della « subsidenza ».

Il fenomeno della «subsidenza» (o sprofondamento dei bacini) può essere dovuto:

  1. alla compattazione dei sedimenti che perdono acqua e si assottigliano, determinando l’abbassamento del livello del bacino;
  2. a movimenti tettonici che hanno investito la crosta terrestre determinando l’abbassamento del suo livello e creando così delle depressioni adatte a raccogliere e ad essere colmate dai sedimenti fino a raggiungere le attuali conformazioni.

In Toscana, il Miocene superiore era succeduto ad una fase di intensa attività tettonica che, attraverso movimenti orientati da Ovest verso Est, aveva formato il «paleo-Appennino» (nell’Umbria attuale c’era ancora il mare). Nel succedersi dei movimenti tettonici, si era avuta, in un primo tempo, la formazione di rilievi che, nella fase seguente (Miocene superiore), sarebbero sprofondati a settori.

Alcune zone furono maggiormente interessate dal fenomeno e rimasero perciò invase dalle acque marine che si erano infiltrate nelle depressioni: qui si formarono i bacini marini chiusi o semichiusi dove, per effetto dei già descritti processi di evaporazione e di sedimentazione, si accumularono i depositi gessiferi ed i giacimenti di salgemma.

Altre zone, per contro, anche se contigue alle prime, non vennero sommerse dalle acque marine perché corrispondevano alle quote più elevate dei rilievi e, pur subendo l’attività tettonica di sprofondamento, si mantennero sempre sopra il livello del mare. Qui ovviamente non si formarono i bacini e non poterono, per conseguenza, accumularsi i depositi di gesso o di salgemma. Sul piano dell’evoluzione paleogeografica, si spiega così perché i monti livornesi, come quelli pisani, non essendo stati sommersi dalle acque marine e non avendo quindi dato luogo al meccanismo della sedimentazione dei sali, non ospitano giacimenti di gesso, pur essendo nell’immediata prossimità spaziale delle zone del volterrano e delle colline prospicienti il litorale, che risultano invece ricche di depositi gessiferi.

Questo imponente processo di cambiamenti paleogeografici trova la sua rappresentazione descrittiva nell’annessa cartina (Trevisan) che illustra i quattro momenti significativi dell’evoluzione che ha interessato la regione compresa fra la foce del Cecina ed i monti del Chianti.

A. Nel Miocene superiore (ca. 8 – 10 milioni di anni fa), il processo di evoluzione era già iniziato: nell’interno, fra i rilievi esistevano alcuni bacini lacustri la cui presenza è provata dalle argille lignitifere che erano state ivi rinvenute.

B. Le acque marine invadono il bacino del Cecina: si tratta di un bacino semichiuso dove, in presenza di favorevoli condizioni climatiche, si manifestano fenomeni di evaporazione e di precipitazione dei gessi e delle lenti di salgemma (ca.. 6 milioni di anni fa). Come si rileva facilmente dal grafico, le zone corrispondenti ai maggiori rilievi continuano ad emergere dalle acque marine e non danno perciò luogo al meccanismo generatore dei depositi gessiferi.

C. E’ il momento (ca. 3 – 4 milioni di anni fa) della più profonda e diffusa invasione delle acque marine all’interno della terraferma, ormai soggetta ad un’intensa attività tettonica che determina lo sprofondamento del suolo. Si accumulano i sedimenti di argilla. Non si manifestano più le precipitazioni del gesso perché sono ormai venute meno le condizioni climatiche necessarie al fenomeno di evaporazione delle acque marine, che avevano caratterizzato il Miocene.

D. Questo è l’aspetto attuale della regione dopo la regressione delle acque marine e l’assestamento del cordone litoraneo.

Altrettanto interessante è la cartina successiva (Mazzanti) che descrive l’evoluzione paleogeografica della Val d’Era.

Il fenomeno evaporitico ha luogo nella fase B (Miocene superiore), con la conseguente accumulazione dei depositi di gesso nel fondo dei bacini. Nelle fasi successive avviene lo sprofondamento progressivo del deposito gessifero, dei conglomerati e dei sedimenti argillosi che si sono successivamente sovrapposti al deposito gessifero. Il livello del bacino è venuto progressivamente regredendo, a partire dal Pliocene inferiore (fasi D e E), fino all’assestamento della conformazione solida del suolo, rappresentata nella fase F, nell’aspetto attuale della Val d’Era.

Nel succedersi delle linee di frattura, in corrispondenza del limite occidentale del bacino originario (fase C e fasi successive), si rileva facilmente l’emergere in superficie di un cordone appendicolare del deposito gessifero ormai giacente in profondità. Si tratta dei giacimenti gessiferi (rappresentati, nel grafico, dallo strato a righe verticali) che affiorano al suolo o situati a breve profondità, e che sono attualmente oggetto di sfruttamento nelle cave a cielo aperto.

Questa rappresentazione giustifica una volta di più la presenza dei depositi gessiferi solo in alcune zone, del resto ormai perfettamente individuate, e la completa assenza del gesso (in superficie) nelle altre zone limitrofe alle prime, ove peraltro possono esistere depositi gessiferi giacenti nel sottosuolo, ma a profondità tali da non consentirne il proficuo sfruttamento.

Non altrettanto può dirsi invece, alla luce delle attuali conoscenze, dei processi di trasformazione del gesso in ovuli (o, come si dice con un termine vernacolare, in «pillori») di alabastro. Non si registra cioè una concordanza di idee o il prevalere di una spiegazione unitaria del complicato processo di trasformazione del gesso in alabastro.

Si può solo osservare che l’alabastro si forma attraverso un processo di «diagenesi», cioè mediante un fenomeno che, per molti aspetti rappresenta un comportamento opposto a quello della sedimentazione. Come si è già rilevato, il gesso si forma a seguito dell’evaporazione dell’acqua marina in bacini semichiusi ed in presenza di idonee condizioni ambientali; i depositi così formati sprofondano a causa dell’attività tettonica che investe la crosta terrestre; può quindi capitare che il gesso passi successivamente in soluzione per effetto di infiltrazioni nei depositi e possa quindi precipitare di nuovo.

Per effetto della «diagenesi» però – ed è proprio questo l’aspetto fenomenologico che interessa maggiormente – si verifica una completa mutazione della struttura cristallina del gesso, che darà luogo appunto all’alabastro. Il fenomeno sconvolge l’ordine degli strati: quando è presente, l’argilla determina frequenti e dense striature nella massa dell’alabastro (Alabastro bardigliaceo di Volterra). Da queste striature risulta invece del tutto indenne l’alabastro estratto dai giacimenti di Castellina Marittima, ove l’elevato spessore degli strati gessiferi e la sottilissima entità di quelli argillosi eliminano l’influenza dell’argilla stessa nei confronti dell’alabastro che si forma all’interno degli strati.

E’ appunto per questo che l’alabastro di Castellina Marittima risulta di una purezza incomparabile rispetto a quello colorato che viene correntemente rinvenuto nelle altre zone della regione collinare interna (Volterra, ecc.). Si deve comunque riconoscere che quando e come si sia manifestato il fenomeno della «diagenesi» non è noto nei particolari, allo stato attuale delle conoscenze.

Sono invece assai ben conosciute le differenti varietà del gesso, le loro strutture sedimentarie, la loro composizione cristallina: ciò consente di individuare la presenza dell’alabastro in un deposito gessifero e quindi di stabilire, con sufficiente precisione, se esso può essere estratto a condizioni economicamente profittevoli, tenuto conto della profondità dei giacimenti e della loro disposizione.

In questi ultimi anni, si è proceduto al sistematico reperimento geografico, in tutta la regione, degli affioramenti delle formazioni gessifere ad alabastro. Si può pertanto concludere che è possibile elaborare una mappa precisa dei depositi di alabastro sfruttabili a condizioni vantaggiose sia sul piano strettamente tecnico, sia su quello dei costi.
Una mappa dei depositi di alabastro offrirebbe l’essenziale supporto alla razionalizzazione dell’attività di escavazione, sia nel quadro delle esigenze qualitative e quantitative del mercato, sia in ordine all’opportunità di contenere ed eliminare gli arbitri ed i fenomeni di natura speculativa.

Fonte: sito web Istituto d’Istruzione Statale G. Carducci (iiscarducci.edu.it)

The same cannot be said, however– in the light of our present knowledge– of the process whereby chalk was transformed into alabaster ovules. In other words, there is no consensus of opinion or single explanation for the complex process underlying chalk’s transformation into alabaster.

The only thing that we can say with any certainty is that alabaster is formed through a process of “diagenesis,” a phenomenon which in many ways represents the opposite process to sedimentation. As we have seen, chalk is formed as a result of the evaporation of seawater in semi-closed basins in the presence of suitable climate and environmental conditions. The deposits thus formed sink due to the tectonic activity of the earth’s crust, and so it possible that chalk may subsequently turn into a solution caused by infiltrations in the chalk deposits and that it may therefore sink again.

Yet thanks to “diagenesis”– and this is precisely the most interesting phenomenological aspect of the process – a complete mutation of chalk’s crystalline structure takes place, and that is what generates alabaster.

Source: Website of the Istituto d’Istruzione Statale G. Carducci (iiscarducci.edu.it)

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